Barcellona: Nuove tecniche repressive e riflessioni sullo sgombero di Can Vies

Nuove tecniche di repressione in Spagna. Gli sbirri hanno circondato e bloccato una parte del corteo, obbligando quindi i fermati a farsi identificare e filmare con vestiti che erano in possesso degli sbirri, facendo indossare forzatamente giacche e cappucci dopo aver allontanato chi poteva riprendere la scena. Ci sono però dei filmati dall’alto (il quartiere di Snats è molto solidale).

Link ai video – http://directa.cat/noticia/els-mossos-encapsulen-manifestants-els-obliguen-fotografiar-se-encaputxats


Segue comunicato dalla rivista Argelaga

Can Vies: La ragione della forza nella Barcellona poliziesca

Quando la forza della ragione è sottomessa dalla ragione della forza, non tutti possono parlare di legge e di diritto. In questa situazione la legge è arbitraria e la sua applicazione non deriva da uno stato di diritto, ma da uno stato di abuso, in cui la violenza monopolizzata dal governo è al servizio di interessi privilegiati. In questo caso la resistenza all’abuso è legittima; anzi, il diritto a resistere e difendersi è l’unico vero diritto. Per cui, dal punto di vista della libertà, della dignità e della ragione, le vere fonti del diritto, la protesta contro lo sgombero dello spazio occupato e autogestito di Can Vies, nel quartiere di Sants, non potrebbe essere più legittima. La sua demolizione non è stata un pretesto per la violenza intollerabile di minoranze itineranti che “si approfittano del disagio”, come ripetono le autorità (e il sindacato della polizia catalana di UGT): è stata semplicemente un episodio di barbarie istituzionale, gratuita e selvaggia, come spesso accade.


La metropoli chiamata Barcellona non è un insediamento organizzato da una comunità di abitanti come quando è stata fondata; non è neanche una città industriale piena di operai com’è stata per un periodo; la conglomerazione barcellonese è solo uno spazio aperto e pacifico di consumatori, in cui ogni movimento umano dev’essere regolato e controllato per garantire la sua trasparenza e la sua funzione. Chi comanda a Barcellona non sono gli abitanti, ma una casta politica e finanziaria, verticale e autoritaria, parassita e usurpatrice, che ha fatto della gestione urbana il proprio modo privilegiato di vita. Quello che conta per i dirigenti è la “marca Barcellona”, cioè che il Comune dia un’immagine pulita e tranquilla, come quella di un centro commerciale o di un parco tematico, buona per gli affari, gli acquisti, il tempo libero mercantilizzato, e per il turismo. Risulta evidente che lo spettacolo di una Barcellona da consumare a ore ha bisogno di uno spazio senza contraddizioni né ambiguità, completamente sottomesso ed alla portata del consumatore.
Il nuovo modello urbano non può permettere l’esistenza di spazi veramente pubblici, senza mediazioni né barriere, e ancor meno di luoghi gestiti in modo orizzontale: tutto deve funzionare come un palcoscenico gerarchico e vigilato, dove tecnologie, ordinamenti, arredo urbano e pianificazione urbanistica sono al servizio dei dirigenti predatori. L’esercizio dell’autorità in queste condizioni è essenzialmente svolto dalla polizia; in questa fase, la politica si confonde con la repressione: la sua gestione, la vigilanza e l’ordine sono la stessa cosa, e per questo il governo articola la propria azione soprattutto attraverso il dipartimento di ordine pubblico. La politica quindi non è gestita dai politici, ma dalle implacabili forze di sicurezza. Tutti i problemi politici e sociali provocati da questo aberrante modello di città non sono mai riconosciuti come tali, giacché la popolazione non ha nessun diritto a lamentarsi del migliore dei mondi possibili. La violenza è l’unica risposta del potere dominante che ha sequestrato la decisione popolare.
Chiaramente, sul caso di Can Vies le autorità municipali non hanno mai avuto l’intenzione di offrire alternative al di là del circuito burocratico ufficiale, e tutti gli incontri si basavano sulla manipolazione e sulla menzogna, perché nel riproporre uno spazio tutelato impossibile da accettare ciò che veramente volevano era sopprimere questo spazio libero. Lo dimostra il dispositivo repressivo esagerato che ha eseguito lo sgombero. Non avevano previsto né l’aiuto di altri collettivi, né il supporto da parte degli abitanti vicini. Non si aspettavano neanche la solidarietà degli altri quartieri, com’è avvenuto all’alba. Per questo le forze dell’ordine ingiusto inizialmente si sono sorprese. Dov’era il cannone a ultrasuoni, e perché non hanno lanciato da subito i proiettili viscoelastici? Questo era quello che si domandava il rappresentante del sindacato della polizia SMT-CCOO, visto che la repressione è un lavoro di mercenari salariati regolato da un accordo e da pallottole FOAM, e quello che conta per i sindacati è di farlo fino in fondo e senza rischi. La risposta, l’abbiamo vista tutti: un’occupazione quasi militare del quartiere, violenza indiscriminata da parte della polizia, arresti e feriti.

Tutto lo sforzo mediatico del sindaco Trías, dell’assessore all’ordine pubblico Espadaler e del presidente del distretto Sants-Montjuïc, Jordi Martí, si è diretto in primo luogo a difendere l’azione violenta della polizia, “in difesa del diritto alla proprietà” e “esecutrice di una sentenza definitiva del Tribunale Supremo”. Di fatto, non si sono neanche spiegati troppo bene: “Sarebbe un problema se la polizia dovesse giustificarsi” (Espadaler), “Le forze di sicurezza hanno ragione; quando i Mossos agiscono, c’è un motivo” (Trías). Secondo, lo sforzo è stato diretto anche a presentare la protesta come il risultato dell’azione di gruppi violenti di infiltrati, con l’idea di dividere la protesta tra pacifici e “anti-sistema” radicali, per poter “trovare formule di consenso” con alcuni, e picchiare ed arrestare gli altri. È una vecchia tattica politica che viene fuori quando la forza non ha raggiunto gli obbiettivi desiderati. La demagogia dirigente fa schifo, ma è quello che è; non accusiamo le autorità di mancare di sottigliezza, quando l’unica cosa che non hanno sono gli scrupoli!
Insomma, non ci troviamo davanti a un fatto inusuale e isolato in un contesto di perfetta democrazia, in cui tutti hanno un ruolo e delle possibilità. In realtà l’ingiustizia delle autorità e la brutalità delle forze di polizia saranno sempre più abituali se la popolazione non si rassegnerà a fare quello che gli viene ordinato. La popolazione non ha mai ragione, non è sovrana, perché non ha la forza, o meglio, non ha il monopolio della forza che la legge della dominazione attribuisce ai governanti. Il dominio assoluto del Capitale esige un tipo di spazio urbano gestito come un’impresa e pacificato come una prigione. In questo spazio non possono entrare modi di fare assembleari, né forme di vivere al margine dell’economia di mercato. Lì, il contesto non può essere più autoritario, e la politica non si distingue dal controllo sociale. In un mondo orientato verso il totalitarismo, la gestione politica è repressione.
Can Vies era una pietra nella scarpa del potere a Barcellona. Sembra che non è stato facile togliersela. La resistenza alla demolizione è stata esemplare sotto molti punti di vista, ed è una prova del fatto che c’è gente che non si adatta al comportamento da schiavi che viene loro richiesto. Questo è motivo di allegria. E siccome le pietre non devono mancare (oggi ci sono un sacco di manifestazioni), ci aspettiamo in un futuro vicino di averne molte altre!
La lotta continua. Visca Can Vies!

Rivista Argelaga, Mercoledí 28 maggio 2014