Firenze: tra svendita di patrimonio pubblico, minacce di sgomberi di spazi sociali e stazioni fantasma

20150102_firenze_via_del_leoneCapita di svegliarsi la mattina, fermarsi al bar a prendere il caffè e leggere il giornale andando a lavoro; un rito nazional popolare che accomuna migliaia di persone in tutto il Paese. Quello che capita meno spesso è di svegliarsi la mattina, arrivare al bar, aprire la cronaca locale e pensare di essere finiti in una specie di mondo distopico in cui ogni nesso logico è saltato nella comprensione della realtà.

Firenze è la città che tutti nel mondo conoscono per le opere d’arte, la cultura, i Medici, il Rinascimento, il vino e ogni altra cosa ci raccontiamo per venderci bene ai turisti. Molti meno nel mondo si rendono conto di cosa voglia dire vivere in una città del genere.

“Ville e case occupate. Il Comune vende” titolava il 3 febbraio il Corriere Fiorentino (testata locale del più famoso Corriere della Sera). Sottotitolo “Da Viale Michelangiolo a Via del Leone, 60 immobili che potrebbero anche essere comprati in blocco”. Tradotto: il Comune vuole far cassa e per farlo sta pensando di vendere diversi edifici pubblici sparsi per la città, fra cui uno spazio sociale occupato nel quartiere di Oltrarno, Via del Leone, appunto.

Spazio sociale che nonostante il tono con cui viene dipinto sul Corriere Fiorentino (anarchici che litigano con il quartiere, laddove la parola anarchici non richiama una tradizione e una prassi di pensiero politico rivoluzionario, ma diviene sinonimo di teppisti, marginali, violenti e quant’altro di negativo i media associno a tale concetto) da anni è diventato punto di riferimento per i giovani dell’Oltrarno, che lo frequentano e organizzano attività al suo interno, e per gli abitanti, essendosi l’occupazione interessata ad alcune vertenze importanti come la vendita del Giardino dei nidiaci e la chiusura dell’Asl di Santa Rosa, che hanno visto i residenti della zona mobilitarsi a più riprese.

L’occupazione di Via del Leone

Un cittadino minimamente attento potrebbe chiedersi perché vendere immobili di proprietà comunale in un periodo di crisi in cui servirebbero case popolari per le famiglie in difficoltà economica, o a fronte delle continue richieste degli abitanti di spazi e servizi per i quartieri. Scorrendo l’articolo, inoltre, si scopre che dalla vendita, le istituzioni della città non ci guadagnerebbero nemmeno la cifra equivalente al valore di ogni singolo stabile. Dichiara, infatti, Gianassi (assessore al patrimonio non abitativo, nonché curatore dell’operazione) “Non è nostro interesse gestire a prezzi di mercato questi immobili”, tradotto: il Comune di Firenze ricaverà 4 milioni di euro dalla vendita di 60 immobili cedendoli “in stock” ad un unico compratore. Viene da pensare che più che una vendita sia una svendita.

Un ulteriore nota di colore: Gianassi dichiara che si tratta di immobili che per le loro caratteristiche strutturali o posizioni geografiche non possono essere utilizzati come case ERP. Un’affermazione quantomeno bizzarra dato che all’interno degli edifici in vendita ci sono diverse palazzine ex ERP.

Perché privare la città di spazi che potrebbero essere utilizzati a fini sociali e sgomberare uno spazio che, nonostante le ridotte dimensioni, assolve già a questa funzione per una parte degli abitanti dell’Oltrarno?

La domanda potrebbe suonare retorica in una città in cui ci siamo abituati a veder sperperare soldi pubblici in speculazioni immobiliari che fanno guadagnare sempre gli “amici” del PD, rendendo lo spazio urbano sempre più simile ad un eterno cantiere che gira a vuoto intorno a sé stesso.

Basta ricordare tutte le vicende legate alla truffa del social housing e degli immobili ad affitto calmierato di cui ci siamo occupati più volte su Firenze dal Basso.

Il 1 febbraio, invece, sulla cronaca locale della Nazione e di Repubblica troviamo un articolo che riguarda la famosa e controversa Stazione Foster: una “grande opera” in cui sono stati spesi già 800 milioni di euro.

La stazione Foster dovrebbe essere la stazione dell’Alta Velocità a Firenze, un progetto fumoso, cambiato decine di volte nel corso degli anni. Per riassumere la storia in breve: nel 2003 viene approvato il progetto Foster ovvero un tunnel ferroviario che attraverserà Firenze da nord a sud e terminerà in una stazione sotterranea che arriverà fino a 25 metri sotto il livello stradale e in cui circoleranno solo i treni ad alta velocità. Risparmio di tempo dei viaggiatori: 7 minuti. L’opera mastodontica occuperà 50.000 mq di terreno. Nel corso degli anni si è messo spesso in discussione l’utilità di tale opera e la fattibilità. In un continuo tira e molla il cantiere è stato aperto, la città sventrata, gli edifici abbattuti (per approfondimenti sulla vicenda si consiglia di leggere i materiali del Comitato No Tunnel TAV di Firenze). Ad oggi ci si rende conto che dei 30.000 passeggeri al giorno previsti nei piani del progetto se ne materializzeranno solo 3000 ad andar bene.

La logica vorrebbe a questo punto che si abbandoni il progetto, lo si riconverta, si chieda scusa o si faccia qualsiasi cosa serva a giustificare lo sventramento di centinaia di mq di suolo urbano. Invece no. Il 1 febbraio La Repubblica titola “ Alta velocità, sì a tunnel e stazione Foster: sarà un hub gomma-ferro”.

Ovvero nella nuova stazione si fermeranno anche i bus turistici, immaginando così di arrivare a coprire un passaggio di 40000 passeggeri al giorno tale da giustificare l’investimento e la possibilità di aprire esercizi commerciali nello spazio della stazione. Il motivo per cui poi un turista dovrebbe scendere da un bus e andare a fare shopping in una stazione sotterranea è ancora tutto da chiarire.

La distopia a questo punto si fa concreta, quasi grottesca se non fosse reale.

Firenze assomiglia sempre più a uno spazio inospitale, un luogo in cui non c’è spazio per le necessità materiali (case popolari, servizi pubblici, sanità) e immateriali (socialità, vivibilità, ecc.) dei suoi abitanti.

Non c’è da stupirsi, quindi, se anche il Sole 24 Ore posiziona Firenze solo alla posizione 43 nella classifica sulla vivibilità delle città italiane.

Fra speculazioni edilizie, svendita del patrimonio pubblico, sgomberi di spazi sociali e stazioni fantasma questa città è sempre più lontana dall’immagine sognante da cartolina che rifiliamo ai turisti.

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