Firenze: Aiazzone, la resistenza degli occupanti contro il distacco della luce

20160120_Firenze_resistenza_degli_occupanti_contro_il_distacco_della_luceTutto inizia alle prime ore della mattina quando operai Enel e agenti della Digos si presentano davanti allo stabile occupato in via dell’Avogadro da circa duecento persone (dove vivono richiedenti asilo e qualche famiglia italiana). Una piccola ruspa inizia così a scavare un fosso fuori dall’edificio per togliere alla radice la fornitura elettrica. Agli occupanti viene detto: “sono solo dei lavori di manutenzione, tutto ritornerà come prima”. E’ quando diventa evidente a tutti che si tratta di una presa in giro che la rabbia sale. Sul posto arrivano i reparti celere. Dalle finestre volano pietre e mattoni.

Decine di persone si riversano in strada per bloccare i lavori. E’ qui che parte una lunga giornata di resistenza e lotta che durerà per ben otto ore. Non è la prima volta che la Questura interviene per lasciare al buio gli uomini, le donne e i bambini che abitano nell’ex Aiazzone. Ma questa volta fuori il termometro segna sotto zero e l’intervento vuole impedire ogni possibilità di riallaccio. E’ da quasi due anni che l’art.5 del Decreto Lupi ha eliminato ogni possibilità per chi occupa di stipulare regolari contratti di fornitura per quanto riguarda le utenze di acqua, luce e gas.

Il distacco viene vissuto come un insulto inaccettabile alla dignità e al diritto a vivere, e l’esasperazione si trasforma in rabbia.

Viene improvvisata una barricata e la gente in strada è determinata a impedire ai mezzi dell’Enel – che intanto hanno lasciato a metà il lavoraccio – di andarsene via: “prima devono rimettere tutto a posto, deve tornare la luce: ci sono bambini, donne incinte, ottantenni, malati”.

Si cerca una trattativa con le istituzioni – responsabili dell’ennesimo scellerato atto di guerra ai poveri – ma anche la possibilità di fare arrivare un generatore per tamponare l’emergenza umanitaria viene dopo poco tempo scartata. Minacce e provocazioni da parte della polizia, intanto, non smuovono di un millimetro il blocco degli occupanti.

Intanto le ore passano, e verso l’una arriva la risposta delle istituzioni: altri due reparti di polizia e carabinieri in assetto antisommossa si uniscono a quelli già presenti. Passa poco tempo e iniziano le cariche. Uomini e donne si siedono a terra e incrociano le loro braccia per resistere ai tentativi di forzare il blocco. I mezzi Enel riescono a oltrepassare il blocco, ma non basta: in tanti corrono e li bloccano pochi metri più in là. Ora gli occupanti sono davanti, sopra, sotto, sui lati dei mezzi.

Ci vorrano ancora diverse cariche e violenze della polizia per riuscire a forzare il blocco, per poi vedere gli agenti dileguarsi come ladri insieme ai camion dell’Enel. Ma non è finita: fino alle sei del pomeriggio gli occupanti continuano a bloccare i viali della zona industriale dell’Osmannoro: si continua a sollecitare un intervento delle istituzioni che non arriva.

Nel frattempo, dall’altra parte della città, in zona Campo di Marte, altri reparti di polizia sono intervenuti per sfrattare “a sopresa” una famiglia morosa con due minori. Anche lì l’operazione di polizia si confronta con una resistenza che dura alcune ore.

La rabbia che si è espressa oggi, di fronte all’ennesimo oltraggio ai diritti minimi che dovrebbero essere garantiti, è figlia di una politica di vera e propria guerra che le istituzioni dall’alto stanno conducendo verso la città di sotto: quella delle famiglie in difficoltà economica, dei precari, dei migranti, delle vittime della crisi. Prefettura e questura continuano a voler mostrare i muscoli contro chi, tra questi, oggi sceglie la lotta come unica strada possibile di riscatto e dignità.

La “colpa” dei richiedenti asilo che vivono nell’ex Aiazzone è quella di non rappresentare alcuna possibilità di guadagno per chi li vorrebbe strumenti di business dentro il meccanismo marcia della cosiddetta “accoglienza”: i famosi 40 euro al giorno che arricchiscono cooperative e “privato sociale” per lasciare senza dignità uomini e donne. Sono lo stesso tipo di strutture, lo stesso tipo di accoglienza-business che rifiutano le famiglie sotto sfratto che decidono di resistere con i picchetti agli sfratti e rivendicare il diritto a una casa popolare.

Soggettività incompatibili con un sistema che vuole disciplinare, silenziare e rendere politicamente invisibili e mute le povertà per organizzarne la messa a lavoro e lo sfruttamento.

Soggettività non disponibili a lasciarsi fare la guerra rimanendo a guardare.

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