Che cos’è l’emergenza abitativa? Da diversi anni queste due parole in sequenza dimostrano l’assoluta inerzia che ha contraddistinto le politiche alloggiative nel nostro paese. Si sono succeduti governi di diversi colori, compreso il governo Prodi con quell’estremista di Ferrero ministro competente per il tema casa. Anno dopo anno abbiamo assistito ad un deliberato annientamento dell’edilizia residenziale pubblica, ad un aumento esponenziale degli sfratti per morosità, al fallimento della politica del bonus per gli affitti, vantaggioso per i proprietari e devastante per gli inquilini, alla fine dell’idea “tutti proprietari” travolta dall’impossibilità di onorare mutui pesanti e con famiglie destinate al pignoramento dell’immobile e dello stipendio. Dunque le risposte date non sono insufficienti o inadeguate, ma hanno percorso un itinerario dettato dalla rendita e dall’interesse proprietario piuttosto che dalle necessità di una popolazione alle prese con una crisi economica strutturale. Andavano garantiti i diritti primari invece che l’economia legata alla speculazione fondiaria e alla finanziarizzazione immobiliare.
Strategicamente i movimenti per il diritto all’abitare hanno puntato sul nodo di questa emergenza e hanno avuto ragione. La crisi ha letteralmente messo a nudo l’assenza di un welfare abitativo e soprattutto ha smascherato coloro che hanno puntato sul cemento. Sono centinaia di migliaia gli alloggi costruiti e altrettanti restano vuoti perché nessuno si può permettere l’acquisto. Anzi stanno tornando alle banche gli alloggi di chi non sostiene il peso del mutuo acceso e si ritrova con un appartamento pignorato, spesso anche con un valore di mercato inferiore a quello dell’acquisto. Il danno, la beffa e poi la strada. Stessa sorte a chi crolla sotto il gravame dell’affitto (che a Napoli non a caso chiamano “pesone”, termine dal suono decisamente azzeccato) e fa i conti con l’ufficiale giudiziario e la forza pubblica. Per questo l’idea che la riappropriazione e la sottrazione di cubature alla rendita e alla vendita del patrimonio pubblico fosse una strada da perseguire con decisione ha convinto tante realtà territoriali e ha avuto riscontri di massa rilevanti. Purtroppo ha prodotto però anche contromosse di natura legislativa e repressiva molto serie. Con strumenti aggressivi come l’articolo 5 del cosiddetto “piano casa” dell’ex ministro Lupi e reiterate iniziative coercitive della magistratura e delle questure, si è provato ad arginare una crescente e conflittuale iniziativa di larghi settori sociali disponibili alla lotta. Anche i “servizi” si sono occupati della materia, leggendo una sempre più evidente capacità dei movimenti per l’abitare di entrare in forte sintonia con un disagio sociale crescente.
In questo clima la battaglia per la “delibera regionale per l’emergenza abitativa del Lazio” ha assunto un valore dirimente. Il suo impianto d’indirizzo è quanto di più avanzato oggi si può proporre per riaffermare il diritto alla casa, mortificato da anni di regalìe e prebende per la rendita. Sulla base di questa impostazione i movimenti romani hanno tentato di strappare un passaggio attuativo conforme all’indirizzo originario, ma il poco coraggio di una giunta timorosa e le pressioni della Prefettura e del commissario straordinario per Roma hanno generato un dispositivo destinato ad aumentare le tensioni sociali invece che affrontarle e risolverle.
La decisione di destinare 197 milioni e i relativi alloggi all’emergenza rappresentata da chi vive nelle occupazioni e nei centri di assistenza alloggiativa temporanea, oltre a chi attende in graduatoria da anni, rimane una straordinaria realtà che si è potuta avverare solo grazie alla testardaggine dei movimenti, che per arrivare a questo hanno pagato anche un alto prezzo in termini di denunce e misure cautelari. È chiaro che il tentativo di sabotarla, già iniziato dai sindacati confederali e dall’Unione Inquilini, troverà forti sostenitori nelle stanze del dipartimento politiche abitative del comune di Roma e nelle Prefettura di Roma. La logica che questo strumento venga utilizzato per una sorta di resa dei conti con le occupazioni è già trapelata e si sta consolidando. Sempre più numerose le intimidazioni negli spazi abitativi occupati e le operazioni di identificazione che si stanno tramutando in centinaia di denunce, con la sensazione sempre più palpabile che tutto quello che ci siamo presi ce lo vogliono girare contro. Abbiamo generato un conflitto che come un boomerang può colpirci malamente ed è per questo che non si può arretrare o pensare di conservare ciò che abbiamo.
La partita che la controparte intende giocare è dura. La rigenerazione della rendita passa attraverso la sconfitta dei movimenti e lo svilimento della delibera come strumento positivo è uno degli obiettivi perseguiti. L’assegnazione degli alloggi popolari alle occupazioni e alla loro composizione meticcia appare come una resa incondizionata, insopportabile dal punto di vista del possibile allargamento delle pratiche di riappropriazione, giustificate dal risultato raggiunto. In più i movimenti possono dialogare con chi da anni ha atteso un alloggio fermo in graduatoria e che oggi grazie alla lotta delle occupazioni vedrà la sua posizione avvantaggiarsi. Per questo il sindacalismo complice, che tanta parte ha avuto nella distruzione del welfare abitativo, strepita e urla.
Dentro uno scenario nazionale più volte evidenziato dalle realtà territoriali in lotta e ultimamente anche supervisionato da media locali e nazionali, la delibera regionale è un sasso nello stagno, non sarà un macigno ma è in grado di generare onde importanti. Sicuramente in controtendenza con politiche che hanno ridotto al 3% il patrimonio di case popolari disponibili, molte delle quali chiuse (soprattutto a Milano) o in vendita, che hanno lasciato via libera alla speculazione con il risultato di almeno 1 milione di alloggi privati costruiti e in costruzione che verosimilmente rimarranno vuoti, che hanno spinto migliaia di persone ad indebitarsi con un mutuo che oggi non si riesce più a pagare e con affitti troppo alti che stanno generando morosità e sfratti a non finire.
La controtendenza è chiara. Ci sono risorse per realizzare, acquistare o recuperare alloggi. Si valorizza l’uso del costruito piuttosto che nuove cementificazioni. Si individuano i soggetti colpiti dall’emergenza e non si fa distinzione tra autoctoni e migranti. Si afferma il diritto alla residenza anche per chi ha occupato per necessità.
Per questo siamo sotto attacco questa primavera che inizia. Dobbiamo raccogliere le forze consapevoli di quello che ci stiamo giocando sia a livello locale che generale, fare passi indietro e far prevalere l’istinto di conservazione piuttosto che la spinta ad andare avanti potrebbe forse lasciarci qualche briciola in mano, ma ci toglierebbe respiro e spazio. Non possiamo accettare dinamiche in sottrazione e per questo la partita la giochiamo adesso. Ancora una volta sfidiamo il presente e ci vediamo in città!
Movimenti per il diritto all’abitare