Nella mattinata di lunedì 6 giugno in un’aula del Tribunale di Roma due attivisti dei movimenti per il diritto all’abitare saranno giudicati per la loro pericolosità sociale su richiesta del questore della capitale, Nicolò D’Angelo.
Il capo della questura romana chiede per entrambi l’aggravamento delle misure di controllo in quanto già raggiunti da un avviso orale, che a giudizio delle carte di via Genova viene continuamente disatteso e dileggiato.
Quello del 6 giugno è solo il primo atto di un’aggressione che si profila ben più larga. Altri due attivisti saranno processati per le stesse richieste alla fine del mese di giugno e all’inizio del mese di luglio.
Tutto ciò avviene dopo una pioggia di intimidazioni e misure di varia entità che hanno raggiunto molt* attivist* nella città di Roma. In linea con quanto avviene in altre parti d’Italia. Una sorta di guerra dichiarata contro chi lotta e si organizza nel disagio sociale diffuso e in territori devastati dal cemento, dall’abbandono, dal degrado e dalla corruzione.
In buona sostanza coloro che sono colpiti da una crisi economica strutturale e profonda vengono considerati pericolosi socialmente e fatti oggetto di un aumentato controllo sociale piuttosto che di soluzioni mirate a risolvere la loro condizione. Forse la paura di un allargamento del conflitto e l’affermazione di pratiche di riappropriazione diretta vengono talmente temute da dover mettere in opera dispositivi coercitivi rilevanti contro le punte più visibili di un possibile iceberg sociale in movimento. La parte sommersa non si vede ma può fare danni irreversibili.
Dentro questa condizione di sostenuto controllo sociale le buone pratiche di conflitto subiscono dure misure di contrasto volte all’eliminazione definitiva del conflitto stesso. Misure spesso mirate, ma nello steso tempo sempre più larghe e tese a colpire non solo l’attivismo più in vista ma più in generale chi si organizza e lotta per diritti primari come la casa, il reddito e la qualità della vita, attraverso la pratica diretta delle occupazioni, dei picchetti e dei blocchi stradali. Pene pecuniarie e misure cautelari arrivano oramai quasi quotidianamente, spesso anche con un accanimento particolare con l’attivismo dei migranti.
Non ritenendo tutto questo come effetto “incurabile” causato dall’impegno sociale e dalle nostre azioni di lotta, proponiamo di utilizzare la data del 6 giugno per proseguire una riflessione comune su questi temi e possibilmente dotarci di strumenti utili e condivisi di reazione possibile. Di fatto veniamo disegnati come nemici della convivenza civile e portatori di tensioni e conflitti, equiparando i comportamenti di coloro che sono colpiti dalle misure a quelli della criminalità organizzata, utilizzando gli strumenti coercitivi ottocenteschi mantenuti in piedi per contrastare a loro dire le organizzazioni mafiose.
L’ipotesi renziana del partito della nazione ha bisogno anche di questo per tenersi in sella e la guerra ai poveri e a chi si organizza è dichiarata da tempo ed è destinata ad aumentare di intensità, quindi trovare percorsi comuni di contrasto è più che mai necessario, altrimenti la distanza tra le parole e la realizzabilità delle pratiche diventerà sempre più larga con l’irreversibile conseguenza di movimenti sociali sempre più deboli, frammentati e incapaci di produrre il contrasto necessario.
Ci vediamo a piazzale Clodio il 6 giugno alle ore 9.30 e alle ore 14 nell’occupazione di viale delle Province 198 per un’assemblea nazionale.
Movimenti per il diritto all’abitare