Torino – Giorno, notte, giorno – Cronaca dello sgombero del Palazzo Occupato

  Torino – Giorno, notte, giorno – Cronaca dello sgombero del Palazzo Occupato


Giorno, notte, giorno.

Giorno, notte, giorno sono le tappe di una resistenza: in questo caso quella allo sgombero del Palazzo Occupato in corso regina Margherita 128, Porta Palazzo, Torino.

I precedenti sette giorni di occupazione sono bastati a mostrare come l’esistenza del Palazzo abbia prima di tutto cambiato l’immagine di un intero quartiere, solleticando l’attenzione dei numerosi passanti che si fermavano a leggere i nostri comunicati e gli striscioni appesi lungo le mura della casa, convinti che era ora che qualcuno bloccasse il degrado a cui le istituzioni avevano lasciato l’edificio. Poi ne ha modificato il suono: nel brusio che si diffondeva per la piazza e si diramava per i vicoli del balon tutti si confrontavano su cosa fosse l’occupazione, chi eravamo e cosa facevamo lì. Noi rispondevamo con la nostra voce che risuonava dalle casse del terrazzo, con la musica che sovrastava la ferraglia rumorosa delle rotaie dei tram, il rombo del traffico, le sirene delle volanti, presidiando l’etere con le numerose voci in lotta di Radio Blackout.

Infine abbiamo cambiato la materia, o meglio il flusso di materia: alcuni mercatari e lavoratori della piazza in solidarietà dirottava il cibo dai bancali del mercato direttamente dentro la casa, svincolandosi dalla mediazione del denaro e respirando il piacere di una condivisione che potesse, dal Palazzo, riversarsi sulle strade. Questo sono stati i vari pranzi aperti, le merende e le pause caffè che quotidianamente ci davano la possibilità di confrontarci con la gente del quartiere.

Cominciavano a prendere forma nuovi rapporti sociali, genuini e liberi, pei quali ogni individuo che si avvicinava faceva del ruolo impostogli dalla società stessa (l’immigrato, il mercante,il disoccupato, il sovversivo ecc..) un mezzo di incontro da scagliare oltre e contro le barriere del profitto, del lavoro e della segregazione. Prendere le mosse dalla propria identità per scrollarsela di dosso e servirsene ai fini della condivisione. L’unico nostro merito e responsabilità è stata quella di strappare dalla realtà un tempo e uno spazio liberi dagli obblighi che ci affamano lentamente e dalle abitudini che offuscano la nostra mente. Liberi dall’assuefazione all’esistente. Poi è arrivato lo sgombero:

GIORNO La polizia, col tentativo di coglierci di sorpresa nel sonno mattutino, ha invece mostrato la sua incapacità di organizzare uno sgombero. Sono stati costretti a bloccare una delle strade principali di Torino, oltre che l’accesso dei mezzi al mercato di Porta Palazzo. Noi? Tutti sul tetto, tutti in strada. Un attacco bifrontale per concentrare l’attenzione su quello che stava accadendo, grazie ai continui interventi col megafono dall’alto, e al presidio partecipato da numerosi solidali del quartiere in basso. La capacità di coordinarci sopra e sotto ci ha dato modo di evidenziare le mosse arbitrarie della polizia, ad esempio denunciando il loro ingresso nei palazzi adiacenti senza un permesso e senza l’accordo degli inquilini. Erano loro ad essere circondati, dall’ostilità e dall’indignazione.

NOTTE Di notte una quarantina di solidali stavano sfumando la giornata di resistenza rilassandosi tra un boccone di cibo e una birra in compagnia. Forse per un secondo, in quella convivialità multietnica, ci siamo dimenticati di vivere in Italia, dello stato di polizia e dell’arbitrarietà assoluta di cui sono capaci gli organi di repressione. Forse ci siamo dimenticati di un principio fondamentale: aspettarsi il peggio in qalsiasi momento, venendo meno a una responsabilità oramai evidente per chi si propone di resistere alla violenza di Stato. Una squadra antisommossa è sbucata dalla via laterale e ha caricato in corsa il presidio sotto al palazzo, naturalmente aiutati dai carabinieri che già erano sul posto. Il cambio di guardia è così coinciso con la dispersione dei nostri compagni, molti dei quali feriti, fermati e denunciati per resistenza. Poi fino alle quattro del mattino è iniziata una caccia all’uomo per le vie di Torino, a cui è seguito l’arresto di un compagno prelevato dalla propria abitazione: la casa circondata, la porta sfondata, lui tirato via per i capelli. Era impossibile permettersi qualsiasi altra cosa oltre alla salvaguardia della propria incolumità.

GIORNO Nonostante le forze decimate, il presidio della seconda mattinata avrebbe dato modo di organizzarci e rilanciare l’offensiva. I rinforzi sono arrivati molto presto, ma non per noi: un gruppo compatto di macellai del mercato coperto della piazza si è presentato davanti al Palazzo per intimarci di scendere, accusandoci del blocco del mercato e della conseguente perdita economica che stavano subendo. Conoscendo le varie realtà sociali che si incontrano e scontrano nella piazza, e delle quali avevamo deciso con questa occupazione di fare parte, ci aspettavamo una mossa del genere. Di sicuro non ci aspettavamo quello che è succeso subito dopo: come su una scomoda poltrona fatta di tegole pendenti abbiamo assistito alla crudeltà del film che ci scorreva sotto gli occhi. Un groppone alla gola e allo stomaco ci attenagliava, mentre presagivamo lo schifo di un linciaggio pubblico: i pochi compagni che, dopo la lunga nottata, avevano avuto la forza di presentarsi al presidio venivano indicati dalla polizia e lasciati alla furia della folla inferocita. Poi venivano sottratti dalla celere e pestati e ammanettati poco più in là.

La connivenza tra le forze dell’ordine e quel grupo di macellai si è esplicitata definitivamente quando la digos ha accettato di far salire sul tetto alcuni loro “rappresentanti”: ci hanno intimato di scendere perchè altrimenti non sarebbero stati in grado di gestire la folla, che nel frattempo minacciava i ragazzi sul tetto che ci avrebbero massacrati tutti di bastonate. Siamo scesi per impedire il massacro che già si stava compiendo. Perchè in quel momento il grido di resistenza era dissolto, allibito. Perchè abbiamo dovuto ammettere, con grande amarezza, che un gruppo di “camerati” aveva monopolizzato la voce della piazza esercitando il suo prepotente dominio. Macellai in divisa, dal camice bianco, che pur di perpetuare il loro status di piccoli e alienati privilegiati sono disposti alla violenza civile. Abbiamo un nemico in più a Porta Palazzo, la difficoltà (se non impossibilità) di intessere qualsiasi forma di dialogo con loro è la stessa difficoltà che si riscontra con un polizziotto o un carabiniere. Non tutti gli “sbirri” sono servi diretti dello stato.

Ciò che avete letto, a dispetto delle numerose versioni pubblicate sui giornali, è la vera cronaca dello sgombero del Palazzo Occupato. Vera, perchè la verità non è una conoscenza statica e oggettiva dei fatti, ma un fatto a sua volta. La verità è un precedente di lotta, con i suoi pro e i suoi contro, le sue vittorie e i suoi errori. Per questo essa aggrega nella solidarietà e trova la forza di continuare, per questo essa è corpo e voce. La verità è una scelta che guarda verso una precisa direzione: quella da costruire insieme e in libertà.

alcuni tra i molti e dal tetto


Montreuil (Francia) – Sgombero della Demi-Lune Squat [16 ottobre 2010]

  Montreuil (Francia) – Sgombero della Demi-Lune Squat [16 ottobre 2010]


Sgombero della Demi-Lune squat di Montreuil [16 ottobre 2010]

Tutti in strada, tutti per la strada!

« Ci sarà sempre qualcosa da pulire »

16 ottobre, 7 di mattina, degli infami in uniforme vengono a tirarci giù dal letto, il primo di noi che incrocia gli sbirri si fa arrestare, scopriremo poi che è stato colpito col taser, la pistola a scariche di elettricità, nella cucina. Abbiamo qualche minuto per recuperare le cose che non vogliamo perdere con questo posto che ci strappano. In ogni modo, la gru è là, le 2mi-lunes (– le due mezze lune–) saranno distrutte subito dopo lo sgombero. Le radio degli sbirri sputano un’altra info: un compagno venuto in sostegno si è fatto arrestare. Qualche abitante riesce a rientrare dal retro nel giardino e a salire sul tetto del capannone – terzo spazio delle 2milunes che serviva da sala per concerti, luogo di discussioni, di cene, di free shop, etc..- urliamo come possiamo, si improvvisano degli striscioni, vogliamo dire che siamo sempre là, che non partiremo dal quartiere, assistendo in diretta alla demolizione delle nostre case.

« é la polvere dei nostri sogni » Ieri alla Boissiere, della gente non si è solo fatta sgomberare dalla propria abitazione. Non siamo solo stati scacciati da casa nostra, con i nostri bambini, il nostro bebé pronto a nascere, e tutto questo, la vigilia della pausa d’inverno. Ieri a Montreuil una grossa operazione poliziesca ha tentato di schiacciare tutto quanto non passa nel cosiddetto ordine repubblicano che vogliono imporci, di fare tacere tutte le parole incontrollate, di distruggere le nostre lotte e i nostri sogni. Non bisogna solo che lo speculatore immobiliare Fonciere Residence (che ha i suoi uffici a Nogent sur Marne) a cui appartengono queste case, possa di nuovo godere del suo diritto di proprietà, bisogna anche smettere di cercare di vivere diversamente, che rentriamo nelle fila e che stiamo zitti.

Perché alla DemiLune cercavamo di creare uno spazio di organizzazione e di discussione politica, un luogo di festa e di scambio, un luogo dove si accoglievano sia genti di passaggio che genti che cercavano un luogo dove abitare per più tempo. Cercavamo di condividere i nostri guai, i nostri modi di arrangiarci per farne delle forze e delle vittorie. Condividere i nostri problemi di disoccupati, di lavoratori sfruttati, di migranti clandestini, di studenti a mezzo tempo, di indesiderati, e costruire a partire da lì. La DemiLune non era un centro sociale, come non era tanto solo uno squat d’abitazione o un luogo artistico-culturale, neppure un luogo strettamente politico, ma un collage tra tutte queste cose insieme, uno strano miscuglio di genti, di storie e di pratiche. Tra i progetti degli ultimi mesi, c’è la creazione di una radio mobile, dentro una roullot, uno studio ambulante per registrare e diffondere la parola, per farla viaggiare. Martedi scorso, giorno di sciopero, la roullot si installa di buon’ora davanti al comune di Montreuil, per diffondere delle parole, della rabbia, della musica e delle voglie di sciopero. Una quarantina di gendarmi (carabinieri) inviati dal prefetto arrivano infine per farci sgomberare. Due giorni più tardi, lo stesso prefetto accompagna le sue truppe per il nostro sgombero, deciso un anno e mezzo fa da un giudice.

La repressione di abbatte quando la collera monta

Bisogna che la città sia pulita. Il comune cerca di sgomberare illegalmente un immobile di cui è proprietario, boulevard la Boissière, i suoi agenti di sicurezza (ASVP, tranquillità pubblica) hanno l’ordine di impedire ogni occupazione di spazi del comune, con l’aiuto di compagnie di sicurezza che non esitano a slegare i cani. Un uomo era stato morso il giorno prima.

La prefettura sgombera la DemiLune, nello stesso tempo che un altro squat in una strada perpendicolare – e ne approfittano per mettere in fermo 6 sans papiers -persone senza documenti- che trovano all’interno. Circolare tutti, l’ordine. Il quartiere è pulito. Allo stesso momento, dei ragazzi del liceo arrabbiati, in pieno movimento, ricevono anche loro il messaggio della repressione: la digos e i gendarmi intervengono al liceo Jean Jaures per darle ai ragazzi che osavano rivoltarsi. Un ragazzo di 16 anni è preso all’occhio da un tiro di flashball. Rientra in corso non c’è nulla da guardare non hai nulla da fare per la strada. Bisogna soffocare ogni movimento sociale dal suo inizio, che soprattutto nulla accada.

Ci vogliono terrorizzare per farci tacere L’8 luglio 2009, dopo lo sgombero della Clinique a Montreuil, la polizia aveva sparato col fashball mirando le teste, un amico ha perduto un occhio. I giovani che scendono per strada da tre giorni sono bersaglio di cowboys digossini che li arrestano violentemente a ogni manifestazione. Noi non abbiamo ancora rivisto uno dei nostri, che si è fatto sparare col taser una scarica elettrica. Svegliato bruscamente, era dietro la porta quando sono entrati gli sbirri, che lo hanno subito aggredito. E come sempre, quando uno sbirro ti pesta, arrestano te, per ribellione. Già manganellato nel 2006, si era già beccato una prima condanna per oltraggio e ribellione. Sconta ora una pena di 5 mesi al carcere di Fleury.

Non accetteremo mai il loro mondo ripugnante, il vuoto e la paura che installano ovunque. Nonostante l’isolamento che cercano di creare, delle persone si incrociano, si incontrano. Noi condividiamo la rabbia, e forse anche delle speranze e dei sogni. Hanno distrutto uno spazio di scambio e di lotte, ma ovunque altri continueranno a vivere. Delle reti di solidarietà sono presenti e attive, e gli abitanti della DemiLune – MezzaLuna- hanno trovato il sostegno necessario per non eclipsarsi. Con o senza casa, a Montreuil come altrove, la rabbia sale, tutti in strada, tutti per la strada!

Appuntamento domenica 24 ottobre, 15h, alla Boissière (luogo precisato più tardi), Montreuil, per non eclipsarsi, continuare a resistere, festeggiare le nostre voglie, urlare la nostra rabbia . Assemblea mercoledi 20 ottobre, 20h, al 28 rue carnot, metro croix de chaveaux, per discutere di giovedi 14, di ciò che seguirà, di domenica.

contact : 2milunes [at] gmail [dot] com

demi-lune squat


Torino – Lo sgombero del Palazzo occupato

  Torino – Lo sgombero del Palazzo occupato


Lo sgombero del Palazzo occupato

Dai giornali enormi quantità di informazioni, tutto tranne che la verità. E allora di menzogne raccontiamo anche le nostre, ma che siano le più meschine e le più violente, così che quando le loro si frantumeranno non resterà che un’unica sola verità: il nostro bisogno di non rimanere soli.

Durante l’occupazione e il primo giorno di resistenza sul tetto abbiamo conosciuto una piazza generosa, disponibile, incuriosita dalla nostra presenza e dallo sciogliersi di tutti quei clichè generati da anni di bugie sul nostro conto.

Colazioni, merende, pranzi e cene, non un pasto senza che ci venisse regalato qualcosa. Dalle bancarelle brioches, verdura, legumi. Di tutto. Merce liberata e consumata in un progetto collettivo. Uno spazio nuovo per il quartiere.

Siamo stati oggetto dei commenti più curiosi: “Abbiamo sempre pensato che voi foste la merda di questa società e ora scopriamo chi siete, per cosa lottate, ragazzi… non ce la farete mai, ma continuate così! Siete grandi.”

È con la vostra forza e con il vostro sostegno che abbiamo resistito sul tetto. Tutto è venuto da voi, l’energia, lo spirito e la rabbia. A vostra disposizione i nostri corpi sul tetto e la nostra fedina penale.

Durante la notte il presidio dei solidali si è trasformato in festa, poi i festanti hanno cominciato a radunarsi davanti al cordone di polizia che presidiava la porta di ingresso del palazzo.

Il primo duro colpo. Tre camionette della polizia arrivano a gran velocità. Gli sbirri scendono e cominciano a picchiare alla cieca, senza preavviso e senza una causa scatenante se non la volontà di intimidire persone indisponibili ad eseguire degli ordini. Le persone picchiate e inseguite per tutta la città, fino a Vanchiglia, fino a via Po. Un ragazzo è stato seguito fino a casa e trascinato via per i capelli con la porta sfondata. Qualcuno doveva pagare tutta quella mancanza di rispetto per l’autorità. Il copione è il solito, chi viene picchiato poi viene anche denunciato, di modo che la responsabilità sembri sua e non dei suoi carnefici. In strada più nessuno. Sul tetto abbiamo cominciato ad avere paura che venissero a tirarci giù con la forza ma sembra che i pompieri non volessero prendersi questa responsabilità.

La mattina il disastro, la macchina poliziesca entra nuovamente in azione. Il mercato deve ricominciare e allora è di nuovo il momento di bloccare la strada. Perché è così che la polizia ha deciso di gestire lo sgombero e così sono riusciti a fregarci. Troppa gente si stava accorgendo che il problema erano loro e non noi e così hanno bloccato il mercato consapevoli che sarebbe stato facile convogliare la rabbia dei negozianti contro di noi, accusandoci di un blocco che altro non era che il frutto di una consapevole gestione della piazza da parte delle forze dell’ordine.

Così un gruppo di uomini in divisa, questa volta in camice bianco da macellai, si sono presentati sotto di noi. Insulti, minacce, urla di odio. Alcuni di loro gridavano che avrebbero voluto ucciderci e molti probabilmente lo avrebbero fatto davvero. Ci siamo consultati un momento: “non saranno cinquanta reazionari a tirarci giù, resistiamo!”.

Ma poi è successo qualcosa che ci ha costretti a cambiare idea. Incitati dagli sbirri, alcuni estremisti hanno cominciato a inveire violentemente contro i nostri compagni sotto, la polizia intanto infieriva con il manganello e li portava in caserma, uno ad uno. Di nuovo pestaggi, chi è stato in caserma ci ha raccontato di urla, ragazzi che vomitavano e alpini impegnati a spaccare teste. Sangue.

Lo sgombero è riuscito non perché Porta Palazzo ci ha cacciato ma perche cinquanta negozianti in accordo con la polizia hanno sfoderato tutto il loro disprezzo per le nostre vite. È questa l’unica sconfitta, la loro.

La polizia ha usato le armi che utilizza di solito per cercare di ridurci al silenzio: la cieca violenza e il bieco ricatto. Ma quello che abbiamo imparato in questo giorno di resistenza è che queste da sole non sarebbero bastate a fermarci, abbiamo avuto la conferma che alla base del loro potere e autorità deve esserci la connivenza e l’obbedienza della popolazione.

Per chi è disposto a privilegiare la sicurezza del suo danaro alle nostre esistenze scagliate da sempre contro ciò che ci degrada, a chi preferisce continuare a coccolare le sue merci piuttosto che i corpi massacrati dalle guardie diciamo semplicemente che non si può sperare di rimanere per sempre al riparo dalla tempesta.

Nessuna pace per i nostri nemici!

Alcuni degli occupanti del Palazzo


Milano – La città vista da un tetto

  Milano – La città vista da un tetto


La città vista da un tetto

Giorno uno

La città vista da un tetto è piena di polizia. Li vedo per strada: fanno checkpoint ad ogni acccesso al quartiere, chiedono i documenti ai passanti. I loro colleghi invece stanno perquisendo le nostre stanze, dopo aver divelto il cancello della bottiglieria con una ruspa. Pensavano di prenderci tutti, ma sette di noi sono riusciti a raggiungere il tetto. Da qui vediamo lunghi e tristi codazzi di camionette arrivare in rinforzo da Genova e Mestre, vediamo i reparti mobili che si spostano da Porta Genova alla Statale, e poi veloci tornano indietro, inseguendo un qualcosa che appare qua e là ma stenta a prendere corpo. Un qualcosa di indefinibile e di poco afferrabile. Gli sbirri ci dicono che non sta succedendo niente, ma in fondo sappiamo che non è così.

La notte sarà lunga, ma non saremo soli ad affrontarla. Si canta insieme, chi dalla strada, chi dal tetto.

Giorno due

La città vista da un tetto appare contradditoria. Un vicino sale sul tetto di casa sua, si sbraccia, ci saluta, ci incoraggia; il suo vicino invita gli sbirri in casa, e permette di scattare fotografie. Alcuni trattano per il passaggio di coperte, altri sfidano le altezze e lanciano viveri dai tetti. Alcuni abitanti hanno firmato petizioni contro un’occupazione abusiva che “fa scendere il valore degli immobili”, altri appendono striscioni di solidarietà al balcone e portano caffè caldo e biscotti ai nostri amici qua sotto. Mai come oggi ci è chiaro come il concetto di gente o di quartiere siano luoghi comuni distanti dalla realtà. Il mondo intorno a noi è molto più variegato e interessante di quanto spesso ci aspettiamo, per il semplice motivo che è fatto di individui.

Giorno tre

La città vista da un tetto oggi ha tutta un’altra faccia. 72 ore, per le strade e sui tetti, chi senza dormire, chi senza mangiare. Cortei che si formano e si sciolgono con brevi preavvisi. Strade che si bloccano, bruciano dei copertoni, una macchina si ribalta, una campana dei rifiuti la segue e s’infiamma. Bivacchi rumorosi e notturni tengono svegli i celerini tutta notte, finte trattative allentano il controllo quando ce ne è bisogno. E’ stato un continuo e confuso incontro di affetti che si organizzano per strada e tentano di raccogliere le forze necessarie a resistere. Ora siamo pronti.

Giorno quattro

La città vista da un tetto è piena di spazi vuoti.Decine e decine di grandi e piccoli edifici vuoti e abbandonati: bottiglierie, officine, caseggiati popolari, case di ringhiera, cascine, stamperie. Pezzi interi di città consegnati alla speculazione e all’abbandono, luoghi negati oggi al pubblico perchè un domani ne possa approfittare il privato.

Nel nostro giovane girovagare tra uno sgombero e l’altro abbiamo imparato tra le altre cose due semplici costanti. Che il comune sta svendendo tutto. Che le banche e i magnati della moda si stanno mangiando Milano.

Poco male, da questa altezza pisciamo in testa a tutti e tre.

<<< Sabato, dopo tre giorni di mobilitazione e resistenza abbiamo abbandonato via Savona 18, sotto sgombero da 72 ore, e abbiamo occupato una stamperia con case padronali vuota da trent’anni in zona Paolo Sarpi. Faremo di questo luogo una base comune in cui continuare ciò che abbiamo iniziato. Non temiamo sgomberi, la città è grande e la nostra determinazione lo è ancora di più. >>>

Un grazie di cuore a tutti coloro che ci hanno sostenuto in questi giorni, a tutti coloro che continueranno a farlo e che serberanno con loro un pezzo di questa esperienza. Veniteci a trovare, vi accoglieremo.

Un gran vaffanculo a chi è contento di essere tornato a veder marcire la bottiglieria.

Ci rivedremo presto.

La gente come noi non molla mai.

stamperia occupata


Milano – Di tetto in tetto – Comunicato

  Milano – Di tetto in tetto – Comunicato


Di tetto in tetto

Ieri a Torino, dopo due giorni di resistenza, è stato sgomberato un palazzo da poco occupato a Porta Palazzo.

Un’occupazione in grande stile, maturata da un’intenzione ostile, inaugurata nel segno della lotta contro i Cie e le espulsioni, nel pieno di in un quartiere che ben conosce la guerra ai poveri e i suoi esecutori in divisa.

Anche questa volta, come a Milano due settimane fa, gli occupanti hanno scelto di resistere.

Nessuna mediazione possibile, nessuna facile resa.

In otto salgono sul tetto, altri per strada, accorrono in solidarietà. Da Radioblackout si apprende di alcuni blocchi in giro per la città.

Ma gli sbirri hanno atteso la notte per agire indisturbati e distribuire equamente quella violenza che sono soliti dispensare quotidianamente nelle strade, nei mercati “abusivi” di Porta Palazzo, nei locali della Questura, nei Centri per immigrati.

Caricano, inseguono, vogliono prendere qualcuno. Alcune barricate improvvisate tentano di rallentare l’inseguimento. Parte la caccia all’uomo: alcuni bar e cortili della zona vengono rastrellati, un compagno viene raggiunto a casa, gli sfondano la porta per arrestarlo. Altri vengono fermati per strada e tradotti in Questura. In tre finiscono in carcere alle Vallette.

La guerra alle classi pericolose si estende ad ogni complice potenziale o effettivo che sia.

Il messaggio di polizia è chiaro e non rappresenta novità alcuna.

E’ un leit motiv a cui molti si sono tristemente abituati negli anni.

Il segnale forte che ci arriva da Torino è un altro.

E’ un segnale che inizia a rimbalzare qua e là e a trovare sponde sempre nuove.

C’è un bisogno diffuso di altezza.

Un’esigenza pressante che invita a sollevarsi da terra per alzare il tiro.

Per guardare la città dall’alto e trovare nuovi punti di vista: da cui osservare l’orizzonte, organizzare la resistenza e dare indicazioni pratiche al proprio contrattacco.

Assesteremo colpi e insieme ne incasseremo.

Ogni battaglia vinta ci mostra la forza di ciò che già abbiamo.

Ogni battaglia persa ci mostra l’assenza di quello che ancora ci manca.

Ma l’intelligenza e le passioni che si sviluppano, di volta in volta, accrescono un patrimonio collettivo da cui tutti potranno attingere.

Da via Savona a Porta Palazzo, da Gallarate a Terzigno

Un omaggio a chi resiste

Di tetto in tetto, di strada in strada

fu bottigliera.ora stamperia


Padova – Gramigna resiste

  Padova – Gramigna resiste


Padova – Gramigna resiste

LA MIGLIORE SOLIDARIETÀ CON UN’OCCUPAZIONE È FARNE UN’ALTRA!!!

Venerdì 29 ottobre siamo rientrati per la terza volta all’interno dell’ex scuola Zanella-Davila nel quartiere Torre. Dopo qualche ora polizia e carabinieri hanno tentato di forzare il cancello per sgomberare, ma si sono scontrati con la resistenza dei compagni i quali, asserragliati all’interno, hanno respinto l’entrata delle “forze dell’ordine” utilizzando degli estintori mentre 5 compagni si barricavano sul tetto di uno dei 2 edifici occupati. Possiamo proprio dire che stavolta gli sbirri “se la sono dovuta mangiare”. A quel punto gli sbirri hanno abbandonato il campo. Nei prossimi giorni lo spazio sarà riempito con diverse iniziative e invitiamo tutti a partecipare, a tenere alta l’attenzione e a portare solidarietà.

Nei giorni precedenti il secondo sgombero del Centro Popolare Occupato Gramigna, avvenuto il 25 ottobre, il quartiere di Torre ha ricoperto una parte della cronaca padovana per l’inaugurazione di alcuni spazi pubblici da parte della giunta Zanonato.

Non ci sembra una casualità che mentre il Gramigna, da un mese a questa parte, continua a denunciare la speculazione edilizia sull’ex scuola Zanella-Davila e dello stato di abbandono dell’enorme quantità di materiale scolastico nuovo presente nell’adiacente prefabbricato, la giunta in un mese organizza più di un’inaugurazione proprio sulla tematica degli spazi e dei servizi in quartiere.

Non è sempre oro quello che luccica!

Anche se gli spazi inaugurati a Torre sono divulgati come pubblici, sappiamo che questi, in realtà, sono sistematicamente negati a chiunque non si riconosca nelle logiche della giunta padovana e nel partito che la rappresenta: il Pd. La gestione di tali spazi nel concreto risulta privata, come sono privati gli enti a cui è stata alienata la Zanella-Davila. Se il comune ha bisogno di soldi, prima di spendere milioni di euro (come scritto nei giornali) per nuove strutture, farebbe meglio a recuperare quelle che ha chiuso e lasciato abbandonate! Da questi esempi sembra proprio che sia una gestione clientelare che muova la conduzione degli spazi pubblici in città e gli affari attorno a loro.

Per questo motivo crediamo nell’autogestione della politica e della socialità, autorganizzandosi dal basso insieme a coloro che condividono le nostre stesse necessità, senza chiedere gli spazi ai politici di turno, ma riprendendoceli tramite la pratica dell’occupazione per riaprirli realmente alla collettività.

Alla giunta diciamo solo che le sedie, i banchi, gli armadietti, le lavagne, i computer che sono all’interno della Zanella-Davila devono essere recuperati e offerti agli istituti scolastici che ne necessitano, come hanno fatto emergere alcuni residenti di Torre tramite i questionari che abbiamo diffuso e raccolto nei giorni scorsi.

Agli abitanti di Torre, con cui da più di un mese ci confrontiamo e dai quali abbiamo raccolto richieste e proposte concrete, diciamo che sono i ben venuti alla Zanella-Davila occupata per vedere con i loro occhi e testimoniare tutto lo spreco di materiale scolastico, e non solo, presente all’interno. Invitiamo gli abitanti, gli studenti, i lavoratori, e tutte le persone interessate, a partecipare all’assemblea cittadina di lunedì pomeriggio e a portare macchine fotografiche, telecamere e quant’altro, affinché questa contraddizione sia resa pubblica il più possibile e non nascosta dai mattoni.

Collettivo Politico Gramigna

www.cpogramigna.org – Fip Via Varese 10 – Padova 29 ottobre 2010

Collettivo politico Gramigna


Varese (Milano) – Comunicato occupazione 23/10/2010

  Varese (Milano) – Comunicato occupazione 23/10/2010


Comunicato occupazione a Varese 23/10/2010

Sabato 23 ottobre, mentre a Gallarate sfilava il corteo per gli spazi sociali a Varese veniva sgomberata, con un ingente spiegamento di polizia, La Selva occupata la notte stessa.

Di seguito il comunicato diffuso durante il corteo. Qui la solidarietà degli Ultimi Mohicani / Edera occupata: http://ultimimohicanivarese.wordpress.com/2010/10/24/varese-provincia-in…

L’esigenza di creare uno spazio nel quale sperimentare forme di autogestione e di libera espressione artistico_culturale è da sempre viva e sentita nella nostra città. Ora tale istanza ha preso forma e si è concretizzata nell’occupazione della Selva: un luogo autogestito ed estraneo ad ogni logica autoritaria e di mercato. Tutto questo grazie all’incontro di diverse realtà che da anni vivono sul territorio varesino, diversi gruppi accomunati dalla voglia e la necessità di liberare uno spazio ormai in disuso da oltre dieci anni, organizzandosi in maniera autonoma e non gerarchica. La Selva non sarà solo una fucina di pensieri e di critica sociale o un laboratorio artistico permanente, ma avrà anche l’ambizioso obiettivo di rappresentare una reale alternativa alle forme di aggregazione e socialità imposte dall’alto, alimentando e sostenendo la circolazione di idee. È nostra volontà ridare vita ad un posto dimenticato e lasciato al suo degrado, un posto che è il simbolo della visione consumistica della nostra società malata terminale, della politica dell’usa e getta, molto in voga nella città Giardino. Lo faremo rinascere anche per opporci alla cementificazione dilagante e speculativa che si osserva in tutta la provincia.

Ci apriremo agli artisti liberi, che non sono in grado di trovare una loro posizione all’interno dei (pochi) spazi presenti, dando loro la possibilità di avere un luogo dove ritrovarsi, promuoversi, esercitarsi o esprimersi. Crediamo fortemente nei valori dell’autoproduzione, e pensiamo che ognuno debba essere libero di potersi esprimere nei modi e nelle forme che sente propri, restando unico promotore e padrone di sé stesso e della propria opera. A tal proposito vorremmo proporre concerti, una sala prove, una biblioteca, laboratori d’arte e cineforum. Ma non solo. vogliamo proporre anche una palestra sociale, un’aula studio, una ciclo-officina, un orto sociale, una ludoteca, un hacklab e altro ancora; questo perchè crediamo che La Selva possa e debba divenire una reale soluzione alla carenza di spazi a Varese. Durante gli anni vissuti nella nostra città abbiamo visto associazioni, realtà o semplici gruppi di persone molto attive e volenterose impegnarsi in progetti simili, frustrati sempre e soltanto dal secco rifiuto da parte di istituzioni e bottegai attenti solo ad accaparrarsi consensi o guadagni. Questo spazio è anche e soprattutto per loro.

Vogliamo ribadire il nostro fermo rifiuto ad ogni forma di lucro, sottolineando che mai ci piegheremo alle forme di speculazione cui il mercato ci ha da lungo tempo abituato. Ogni attività organizzata alla Selva sarà sempre GRATUITA e APERTA A TUTTI.

Il collettivo promotore dell’occupazione invita chiunque abbia a cuore la libertà di espressione e l’autodeterminazione degli individui a sostenere attivamente la Selva. I politici, gli autoritari, gli affaristi, gli spacciatori e altri avvoltoi non saranno mai ben accetti.

Collettivo di autogestione della Selva

Collettivo di autogestione della Selva