Val di Susa: sullo sgombero de la Casa Cantoniera Occupata

Da ormai un anno la pandemia ha stravolto la vita di miliardi di persone, e nel mondo distopico dove si legittima l’incremento enorme di sistemi di sorveglianza e controllo con la dottrina della guerra al virus, in cui tutto è illegale eccetto andare a lavorare, gli sgomberi e gli sfratti non si fermano.
Dopo due anni e mezzo dalla sua apertura, è stata sgomberata la Casa Cantoniera Occupata, il rifugio autogestito di Oulx.
All’interno della Casa era pieno di persone: la pandemia non ha mai fermato chi è in viaggio senza il privilegio di avere un posto in cui fermarsi.

Occupata nel dicembre del 2018, era un luogo nato per dare solidarietà alle persone che volevano attraversare il confine italo-francese al Colle del Monginevro. Un luogo di lotta e di autorganizzazione, contro tutte le frontiere e i dispositivi militari e politici che cercano di controllare e selezionare.

Un rifugio libero per tutte e tutti coloro che credono che la terra non abbia confini né padroni, e che chiunque debba avere la libertà di scegliere dove e come vivere. Un’occupazione che ha fatto della solidarietà attiva e quotidiana la sua base, e che ha cercato di intralciare quelle leggi razziste che rendono le frontiere e i loro controllori una linea maledetta e assassina. Un luogo che ha sostenuto un preciso indirizzo di lotta, che ha indicato uno strumento pratico a chiunque volesse combattere attivamente le politiche segregazioniste di questa Europa omicida.
Sulle nostre Alpi le persone sono costrette a camminare su sentieri di alta montagna, nascondendosi solo perché privi del “buon” pezzo di carta, mentre merci e turisti, per cui questa frontiera è invisibile, passano tranquillamente. Così come nei boschi in Croazia e in Bosnia, dove la polizia picchia e ruba, massacrando i piedi della gente per farla smettere di camminare. Dal deserto di Tamarasset al Mar Egeo e in tutto il Mediterraneo, dove è in corso un genocidio cosciente, fatto di prigioni e motovedette pagate dall’Unione Europea, dove le persone continuano a morire mentre i governi si impegnano nel bloccare le navi-soccorso e reprimere ogni forma di solidarietà. Parte di questo genocidio è qui, tra i nostri monti, e continua di giorno in giorno.

La Casa è stata sgomberata martedì 23 marzo; sono arrivati alle 7 del mattino: la solita sfilza di celerini, carabinieri, digos. Ci hanno messo più di un’ora e mezza a entrare.
Più di 60 persone, tra cui molte famiglie con minori, sono state fatte uscire e portate via.
Fondamentale è stato l’apporto dei pompieri, che hanno posizionato le scale per poter entrare dal tetto e hanno aiutato la digos a sfondare le barricate di protezione che non riuscivano ad aprire. Lo sgombero ha visto anche la collaborazione della croce rossa, che ha montato una tenda davanti alla Casa per fare i tamponi anti-covid.
Le persone “senza documenti” e le famiglie, sono state portate in dormitori di prima accoglienza tra Susa (nel convento delle suore), Bardonecchia (all’associazione Alveare), e Oulx (al rifugio dei salesiani). Chi senza famiglia, è stato portato alla caserma di polizia di Bardonecchia per l’identificazione e poi lasciato andare.
Ora, al rifugio dei salesiani di Oulx, nessuno può entrare se non è “autorizzato”. Polizia e la digos in queste ore sono molto presenti e opprimenti in tutta la zona di frontiera. In paese sono fisse alcune camionette di celere. Il sindaco ha chiesto espressamente ai cittadini di denunciare ogni persona “sospetta” che si aggira in Oulx alle forze di polizia, dopo il tanto desiderato sgombero.

La responsabilità di questo sgombero è tutta politica.

Dalla prefettura al comune di Oulx (lo sgombero è stato richiesto dal primo giorno di occupazione e il sindaco Andrea Terzolo, eletto quasi due anni fa, ci ha fatti/e parte della sua campagna elettorale). Dagli stati, italiano e francese, ai loro bracci armati, polizie varie e digossini. Dall’anas (ente proprietario di decine di case abbandonate da decenni in tutta Italia – così come dell’immobile di Oulx – che ha sporto subito denuncia contro gli occupanti) al meschino giornalismo nazionale, che si è impegnato a diffamare quel luogo in tutti i modi possibili. Tutti hanno avuto un ruolo attivo nel
criminalizzare questa esperienza e renderne materialmente possibile la chiusura.
E ci fa ancora più rabbia sapere che proprio l’anas, che ha trascinato 24 di noi (più i 13 compagni/e solidali presenti all’interno della Casa al momento dell’ingresso degli sbirri) in un processo per occupazione iniziato per ironia proprio la mattina dello sgombero, ha messo in vendita 100 case cantoniere. Si parla di riconversione in bar, ristoranti, stazioni di ricarica per auto elettriche. Saranno contente le persone libere di viaggiare dove vogliono, di bere caffè e ricaricare le loro lussuose auto su una strada sporca del sangue di chi deve camminare di notte, nascondendosi dalle botte degli sbirri e dalle grinfie di un sistema d’accoglienza che ingrassa molte tasche sulla pelle della gente.
Ora arriveranno anche centinaia di migliaia di euro ai comuni frontalieri per la “gestione dei migranti”, nuova merce. Almeno 600mila euro a Bardonecchia, più 162mila euri al comune di Claviere.

E a tal proposito, dall’altro lato della faccia esplicitamente repressiva, le responsabilità “invisibili”.
Anche durante la giornata dello sgombero, rainbow for africa, ha giocato il suo ruolo di associazione buona che fornisce riparo ai migranti buttati fuori dal terribile rifugio anarchico: la stessa ONG che da tre anni lavora tra Bardonecchia e Oulx per dare una risposta istituzionale ai “flussi migratori”, cercando di disincentivare le partenze offrendo soluzioni irreali di un’accoglienza che è solo un business; la stessa che da poco ha vinto un bando per fare tamponi a Torino e cerca di trovare legittimità anche all’interno di spazi occupati.
Sappiamo che organizzazioni del genere si avvalgono di volontari che cercano solo di dare una mano, e che lo fanno con il cuore. Ma il funzionamento e le scelte politiche operate da questa ONG hanno conseguenze specifiche, responsabilità precise che rifiutiamo, e ci teniamo a ricordarlo. Il presidente, Paolo Narcisi, inoltre, ci ha sempre diffamati/e.
E allo stesso modo respingiamo tutte le buone parole di richiamo alla solidarietà cattolica che abbiamo ascoltato in questi giorni dall’arcivescovo di Torino Nosiglia, come del resto quelle del vescovo di Susa Confalonieri qualche anno fa. Entrambi uomini di quella Chiesa che da una parte fa finta di parlare di aiuto e carità e poi si applica a permettere gli sgomberi (processo sull’occupazione del sottochiesa di Claviere in corso) e di porre fine a concrete e dirette esperienze di solidarietà.

In conclusione: lo sgombero della Casa Cantoniera è parte di una repressione globale contro la libertà di movimento, contro luoghi solidali e spazi occupati dove organizzarsi in libertà. Ovunque in Europa gli spazi di lotta sono sotto l’attacco repressivo degli stati. La militarizzazione dei confini e la normalizzazione dei push back e dei rimpatri all’interno e all’esterno dei confini europei viene nutrito dai sentimenti sempre più razzisti e fascisti della società e della politica. Intanto, chi continua a fornire solidarietà alle persone in movimento e si rifiuta di entrare in questa logica razzista e normativa é continuamente sotto attacco.
Su questa frontiera, numerosi sono i processi in corso per favoreggiamento all’immigrazione clandestina (due grossi procedimenti nei prossimi mesi sul lato francese). Molte le persone indagate, per iniziative, azioni, occupazioni, cortei in frontiera su entrambi i lati.
La repressione nei confronti delle persone di passaggio si manifesta con un visibile aumento della militarizzazione, delle violenze sempre più serrate, e ora in controlli anche nelle strutture in cui sono ospitate.
Eppure la gente continua e continuerà a passare, perché la voglia e la determinazione di decidere dove vivere, non si fermerà mai.

Ringraziamo di cuore tutte/i coloro che in questi anni sono state/i solidali con quest’esperienza, dalla valsusa – che suo malgrado è costretta ad ospitare questa infame frontiera, ma dove abbiamo trovato moltissimi/e amici e sorelle che hanno condiviso con noi questa lotta – e da ogni angolo del mondo.

Ora la necessità di ricostruire solidarietà reale è grande. C’è bisogno di tutto, c’è bisogno di riorganizzarsi. Verrà chiamata un’altra assemblea aperta, anche nel tentativo di dare una risposta alla repressione sempre crescente.
Si è anche in ricerca di un mezzo collettivo, che sia un furgone o una macchina grande, per poter continuare a essere presenti in frontiera. Se qualcuno/a ha dei mezzi (a poco prezzo:), o materiali utili, può scriverci.

Ogni contributo è benvenuto.
Sempre contro ogni frontiera.
Torneremo.
Alcune e alcuni nemicx delle frontiere


Il testo seguente rappresenta un tentativo, da parte di alcune persone che erano coinvolte nella Casa Cantoniera Occupata, di analizzare lo sgombero del nostro spazio e di riflettere sugli ultimi anni della nostra presenza da questo lato del confine.

Ora più che mai, vogliamo invitare tuttx a venire in frontiera per dimostrare che lo sgombero dei nostri spazi, la repressione delle persone di passaggio e dei solidalx, non arresteranno la nostra volontà di resistenza. Stiamo provando a ri-unirci e riorganizzare la presenza sul confine. Non sappiamo ancora che forma prenderà ciò che intendiamo fare, poichè dipende dagli eventi dei prossimi giorni e settimane. Se siete interessatx e volete rimanere aggiornatx, scrivete un’e-mail a chezjesoulx [at] riseup [dot] net.
La mattina presto del 23 marzo, la polizia, insieme a vigili del fuoco e ad alcune ONG, hanno sgomberato la Casa Cantoniera occupata a Oulx. I 13 compagni che erano presenti nella casa durante lo sgombero sono stati accusati di occupazione, mentre oltre 60 persone di passaggio sono state sottoposte a test forzati per il coronavirus, identificate, prese le impronte digitali, e poi trasportate in diverse strutture.
Il modo in cui questo sgombero è stato eseguito dimostra ancora una volta tutte le contraddizioni della politica migratoria europea. La repressione della libera circolazione è possibile solo con la complicità delle istituzioni cosiddette “umanitarie”. Mentre i poliziotti sono il volto visibile della repressione statale, le organizzazioni umanitarie sono usate (e con compiacenza) come il volto amico di questa repressione.
La Croce Rossa e l’associazione “Rainbow 4 Africa” hanno fornito l’infrastruttura di trasporto e stivamento per le oltre 60 persone di passaggio che erano presenti nella casa durante lo sgombero, spedendole in diverse direzioni e facendole retrocedere dal confine. I vigili del fuoco hanno aiutato i poliziotti a sfondare le barricate della casa e hanno permesso loro di intrufolarsi nella casa dalle finestre del tetto usando le loro attrezzature. Senza l’aiuto di queste istituzioni, lo sgombero della Casa Cantoniera sarebbe stato molto più difficile e lungo (e, quindi, visibile al pubblico).
Non è la prima volta che la Croce Rossa collabora con la polizia – in questa frontiera o in altri luoghi. Ci sono state varie occasioni in cui i suoi membri sono stati ripetutamente presenti sul confine, cercando (invano) di convincere le persone di passaggio a non attraversare invece di fornire qualcosa di utile o permettere loro di decidere da soli. Spesso sono stati complici dell’intervento della polizia, aiutandola a realizzare i respingimenti. In diverse occasioni la Croce Rossa ha consapevolmente sfruttato la fiducia della gente nella sua istituzione mentre collaborava apertamente con la polizia.
L’associazione Rainbow 4 Africa ha una lunga storia di tentativi di collaborazione con i centri sociali e hanno più volte cercato di forzare la loro presenza sulla Casa Cantoniera. Allo stesso tempo sostengono il CPR di Torino con personale medico e hanno fornito infrastrutture mediche per lo sgombero della casa. Quando la protesta il giorno dello sfratto è arrivata al dormitorio dei Salesiani per portare solidarietà alle famiglie che vi erano state portate, ci siamo accorti che il cancello principale della struttura è stato chiuso a chiave fin dal loro arrivo, impedendo loro di uscire. Questo dimostra ancora una volta che la loro percezione delle persone a cui rivolgono i loro “servizi” non è quella di individui liberi e uguali, ma di oggetti gestibili e confinabili.
Per più di due anni la Casa Cantoniera ha cercato di creare uno spazio di solidarietà concreta e di resistenza contro la frontiera, l’oppressione e la violenza che ne derivano. Uno spazio che rifiutava di partecipare alla “gestione” della migrazione, dove coloro sulle cui spalle si costruiscono i nostri privilegi e le nostre ricchezze non venivano trattati come oggetti, come pericolosi delinquenti o vittime infantilizzate, ma come soggetti individuali in grado di prendere le proprie decisioni. La frontiera è evidentemente permeabile al continuo passaggio di denaro, turismo e commercio, ma non alle persone prive del pezzo di carta “corretto”. Il nostro obiettivo non è mai stato quello di fornire un servizio alla gente, ma di costruire una lotta inclusiva con persone che sono oppresse dal sistema capitalista e dello stato, in diversi modi.
Molte persone che sono passate per la Casa Cantoniera hanno partecipato attivamente alla gestione dei compiti quotidiani. Il fatto che questa casa sia stata aperta alla gente senza pause per 828 giorni è stato possibile solo perché abbiamo raccolto collettivamente le nostre conoscenze e competenze, massimizzando le nostre possibilità, adattandoci e valorizzando le differenze nelle nostre capacità. Condividendo la rabbia e la frustrazione in comune, ma anche passare momenti di affetto e di gioia, ci ha aiutato a diventare più forti e determinati nella nostra opposizione alla realtà violenta di questo mondo.
Nella casa occupata le persone hanno condiviso le loro storie, i loro sogni e le loro lotte tra di loro, trovando forza nel non essere soli. A volte questi momenti consistevano semplicemente nel condividere un caffè al mattino, nel passarsi un piatto di qualcosa di delizioso e fritto da condividere durante le discussioni, nel ballare musica pop da tutto il mondo mentre si preparava un pasto collettivo, o il collettivizzare con quattro persone diverse l’ultima cartina, filtro, ciuffo di tabacco o accendino per una sigaretta tanto necessaria…
Questa opposizione che si crea, non è semplicemente in contrasto con l’oppressione sistemica della frontiera – parallelamente ad essa, cerca di costruire una realtà alternativa. Questa casa è stata un luogo dove ci siamo confrontati molte forme di oppressione:
C’era un orto auto-organizzato, per ripensare il nostro modo di rapportarci al cibo e alla natura rispetto al consumismo.
C’era uno spazio riservato alle donne e agli individui non-binari/non conformi al genere, perché il sistema del patriarcato si smantella in parte, valorizzando e dando spazio.
C’era una biblioteca con libri e testi auto-pubblicati in varie lingue, dai fumetti e romanzi alla auto-cura e al DIY, puntando su un’alternativa radicale* che richiede una costante riflessione, autocritica ed espansione della conoscenza.
Pur avendo, in alcune occasioni, accettato l’appoggio materiale di ONG, non ci siamo mai sottomessi per conformarci ai loro paradigmi e abbiamo sempre cercato di auto-sostenere la casa con l’appoggio finanziario e materiale di persone che condividono o sostengono le nostre idee.
Ovviamente, in un mondo che si basa sulla violenza e in cui tutti noi abbiamo interiorizzato dinamiche di oppressione e certi stereotipi, è impossibile non commettere certi errori. Molte persone che sono passate per la casa sono sopravvissute a traumi e perdite, alcune delle quali non hanno mai avuto il privilegio di vivere senza paura e oppressione.
Non vogliamo negare che la casa ha visto episodi di violenza e che abbiamo commesso errori in certe situazioni, ma per creare qualcosa al di fuori della logica del profitto e del dominio, dobbiamo mettere in pratica ed imparare dagli errori che sono stati fatti in passato, anche se non sempre ci riusciamo. Siamo disgustati dal modo in cui questi episodi sono stati strumentalizzati per sventrare un approccio alternativo, usati per dimostrare che effettivamente un altro mondo non è possibile; in realtà è brutalmente ironico che questi episodi di violenza siano un risultato diretto dei sistemi oppressivi che gli stati nazionali sostengono con tanta vemenza.
Dall’inizio del progetto, molte speculazioni e disinformazioni sono state diffuse su questa casa. Subito dopo l’esecuzione dello sgombero, erano state condivise foto dell’interno della casa (che era in uno stato terribile, come logicamente sono tutte le case dopo gli sgomberi), strumentalizzandole per confermare la loro narrazione degli “sporchi abusivi e malfattori”. Ci rifiutiamo di parlare con i giornalisti, perché non vogliamo essere ritratti secondo l’immagine stereotipata “dell’anarchico” e strumentalizzati per alimentare lo spettacolo.
Così ora questo piccolo spazio di autodeterminazione che ci aveva dato la possibilità di respirare per un momento, pur sempre sommersi da un mondo di politiche dure e leggi razziali, è scomparso.
Lo sfratto della Casa Cantoniera è solo una parte della repressione globale contro la libertà di movimento, le strutture di solidarietà e gli spazi liberati ed occupati in generale. In tutta Europa negli ultimi anni, spazi occupati da tempo sono stati sfrattati, mentre i tentativi di creare nuovi spazi e nuove lotte vengono immediatamente accolti con tutta la forza degli organi statali repressivi. La militarizzazione delle frontiere e la normalizzazione dei respingimenti alle frontiere interne ed esterne dell’Europa, non fa che alimentare sentimenti razzisti sempre maggiori e la fascistizzazione della società. Allo stesso tempo, coloro che si rifiutano di credere in questa logica e continuano a sostenere le persone in movimento sono continuamente colpiti.
A Calais la distribuzione di cibo è stata illegalizzata, in altri luoghi, alle persone viene impedito di praticare la loro solidarietà individualmente e sono costrette a registrarsi presso una ONG. In Ungheria tutte le forme di sostegno alle persone in movimento sono state illegalizzate da anni.
L’obiettivo è da un lato quello di creare le condizioni che rendano la migrazione il più difficile possibile, e che agiscano da deterrente per impedire ad altri di tentare il viaggio. Dall’altro lato, si sta mandando il messaggio che l’umanità e il sostegno sono possibili solo quando sono raccolti in un contesto e una metodologia approvata dallo stato.
Tuttavia, la repressione delle strutture di solidarietà e la fortificazione delle frontiere non impediranno alle persone di esercitare la loro volontà e necessità di migrare. La migrazione è ovecchia come l’umanità, e finché questo mondo sarà parcellizzato in spazi di coloro che sono sfruttati e coloro che traggono profitto da questo sfruttamento – finché le guerre e i conflitti saranno alimentati dal bisogno del capitalismo di produrre profitto e dal bisogno degli stati nazionali di espandere il loro potere e la loro influenza – le persone continueranno a migrare da un luogo all’altro. E finché esisterà questa disuguaglianza tra il “sud globale e il nord globale” del mondo, la gente continuerà a cercare di venire in Europa.
Lo sgombero e la repressione della Casa Cantoniera non impediranno alle persone di passare questa parte della frontiera. Li porterà solo ad essere costretti ad usare percorsi sempre più pericolosi, e per le persone più disperate, e all’utilizzo di passatori che traggono profitto dalla miseria delle persone.
Possono prendere i nostri spazi, possono criminalizzarci e imprigionarci, ma non possono seppellire le nostre idee e non possono mettere a tacere la verità, e questa verità è questa:
Finché il mondo sarà organizzato secondo il principio della dominazione – della natura da parte dell’uomo, o di un tipo di uomo sull’altro, o di un sistema economico basato sullo sfruttamento delle risorse e delle vite umane – non potremo essere liberi. Abbiamo bisogno e troveremo, altri modi di esprimere la nostra opposizione, di costruire e lottare per spazi dove possiamo imparare, creare, vivere in libertà.

* usiamo la parola radicale nel suo senso originale, nel senso che vogliamo arrivare alla “radice” del problema invece di limitarci a riformare ciò che crediamo essere fondamentalmente disfunzionale

ex Casa Cantoniera Occupata “ChezJesOulx”
Via Monginevro 96, SS24
Oulx, Val di Susa
chezjesoulx [at] riseup [dot] net
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