Continua la lotta per la casa in diverse città italiane nonostante la linea dura utilizzata nelle ultime settimane, una vera e propria guerra alle occupazioni attuata nel nome della legalità. Una dichiarazione di guerra che non viene accolta dal movimento di lotta per la casa che continua il suo percorso nonostante i numerosi sfratti e sgomberi. Emblematico di una volontà più forte che tende a segnare la non arrendevolezza verso chi sgombera e punisce, ma che anzi, rilancia con l’occupazione di numerosi spazi e case nei quartieri popolari. A Milano, sabato, in via Odazio 8, al Giambellino, la “base di solidarietà popolare” ha ridato vita ad un fondo sfitto collegato ad un edificio Aler; allo stesso modo, è stato occupato un ex mobilificio dell’Aler in piazzale Ferrara, nel quartiere Corvetto mentre due giorni fa il ‘movimento di lotta per la casa Cinisello Balsamo’ ha occupato a scopo abitativo la struttura pubblica dismessa di via Leonardo da Vinci 14.
A poco servono quindi il pugno d’acciaio imposto con affanno dal prefetto di Milano, il governatore Roberto Maroni e il sindaco Giuliano Pisapia, con la complicità dell’Aler. Una task force che a novembre dichiarò l’intenzione di effettuare circa 200 sgomberi nel giro di una settimana. Sappiamo bene che sparate di questo tipo hanno tutta l’intenzione di intimidire chi lotta per un diritto basilare come quello di avere una casa. Anche ieri mattina le truppe della Questura meneghina, con tre cellulari della Polizia, si sono presentate in zona Molise-Calvairate a Milano, sgomberando due appartamenti con altrettante famiglie rom che avevano occupato per necessità dopo che il Comune aveva smantellato il campo dove vivevano.
In un clima di crescente difficoltà nella gestione degli sgomberi, è invece di ieri la notizia della richiesta da parte dell’assessore regionale alla Casa di Milano, Paola Bulbarelli, dell’intervento dell’esercito per contrastare le occupazioni e per facilitare gli sgomberi annunciati. Una richiesta peraltro non nuova poichè qualche settimana fa già Matteo Salvini aveva auspicato un intervento di questo tipo.
Eppure, nonostante i numerosi sgomberi a suon di manganellate, il movimento per il diritto alla casa non si ferma e rilancia. Lo dice chiaramente la partecipata assemblea della Rete nazionale Abitare nella crisi che si è svolta domenica scorsa a Firenze. Al centro dell’attenzione le giornate di resistenza contro gli sgomberi che si sono date nelle ultime settimane a Milano, in quello che sembra ormai un laboratorio di repressione verso il diritto dell’abitare. In occasione dell’assemblea è stata programmata per metà dicembre, un’assemblea nazionale nella metropoli lombarda, rilanciando oltremodo la giornata di mobilitazione contro il Jobs Act, la cui approvazione al Senato è prevista per domani 3 dicembre e lo sciopero generale del 12 dicembre che andrà a portare in piazza, contenuti e forme di lotta propri dei movimenti per il diritto all’abitare. Inoltre l’assemblea ha lanciato l’indicazione di una giornata nazionale di mobilitazione a fine gennaio per ottenere la moratoria generalizzata degli sfratti per morosità incolpevole.
A dimostrarci che il diritto alla casa non si gioca al ribasso, è stata anche l’irruzione di questa mattina di occupanti e sfrattati nella sede della regione Toscana, a guida Pd, per protestare contro la nuova legge regionale sulla casa che prevede un aumento dei canoni di locazione per i residenti nelle case popolari, ma che colpisce anche chi un tetto non riesce ad averlo. La nuova normativa può essere intesa come l’applicazione dell’infame Piano Casa ideato dall’esecutivo di Renzi. Essa prevede infatti l’impossibilità a vita di fare richiesta di una casa popolare a chi si è reso protagonista di una occupazione a scopo abitativo. Un vero e proprio ricatto che ancora una volta ci dimostra come il Governo faccia sfoggio di tutti i suoi mezzi per arrivare a contrastare la lotta per il diritto alla casa. Non ci dispiace dirlo e forse vale la pena ricordarlo ancora una volta: il movimento per il diritto alla casa non è disposto a scendere a compromessi, nè tanto meno ad arrendersi, mentre si prepara con nuove mobilitazioni e occupazioni.